· · Meccanica Computazionale · Metodo degli Elementi Finiti: Teoria
Matematica · · FORMULAZIONE VARIAZIONALE E RESIDUALE · Marco Bozza · · INTRODUZIONE · EQUAZIONE DI EULERO · VANTAGGI DELLA FORMULAZIONE
VARIAZIONALE · DEDUZIONE DI PRINCIPI VARIAZIONALI
· METODO VARIAZIONALE DI RAYLEIGH-RITZ · METODO VARIAZIONALE DI GALERKIN · METODO VARIAZIONALE DEI RESIDUI PESATI
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· INTRODUZIONE
La soluzione di un problema mediante discretizzazione agli
elementi finiti è strettamente connessa al concetto di Formulazione Variazionale.
Storicamente lo sviluppo della formulazione variazionale dei problemi fisici
nacque dalla scoperta fatta da Eulero nel 1744 del Principio di Minima Azione.
Secondo tale principio tutti i fenomeni che avvengono in natura rispettano
metodi ai valori estremi. Come conseguenza furono ricavate le equazioni della
dinamica tramite Lagrange (1788) ed Hamilton (1834). Per formulazione variazionale di un problema fisico
stazionario si intende la trasformazione in forma integrale delle equazioni
differenziali che lo regolano. Più precisamente, esiste un principio
variazionale alla base di un fenomeno fisico quando la soluzione del problema
matematico che lo descrive è riconducibile alla ricerca di un funzionale che
renda estrema una espressione integrale. Tale funzione appartiene ad una
classe di funzioni ammissibili, soddisfacenti determinati requisiti di
regolarità e determinate condizioni al contorno. EQUAZIONE DI EULERO
Funzionale
L'espressione matematica di un principio variazionale,
cioè la sua espressione integrale, che è una funzione di funzioni, si chiama funzionale e lo
indichiamo con F. Supponendo che il problema sia descritto dalla
funzione F della variabile indipendente u(x), funzione a sua volta della sola
variabile x nel dominio G, e delle sue derivate, il funzionale assume la
seguente definizione generale:
mentre se la funzione u(x,y) dipende da due variabili
nel dominio di integrazione W, il funzionale diventa:
In queste ipotesi il funzionale assume un preciso
significato fisico. Una volta che sia stato individuato tale integrale, il Calcolo Variazionale
si propone di studiare la condizione di stazionarietà (minimo, massimo,
flesso), ovvero di determinare, fra tutte le funzioni ammissibili u quella
funzione particolare u* che estremizza, ossia minimizza o
massimizza, il funzionale stesso. In altre parole, lo scopo del calcolo
variazionale non è quello di trovare i valori che rendono estremi una
funzione in un numero finito di variabili, ma quello di trovare nel gruppo di
funzioni ammissibili la funzione che rende stazionario un dato funzionale. Equazione di Eulero
Si dimostra che la condizione necessaria (ma non sempre
sufficiente) per l'esistenza di un valore estremo è che esista l’equazione
di Eulero associato al problema stazionario, nel senso che la funzione
estremizzante deve necessariamente soddisfare l'equazione di Eulero associata
al funzionale F. Nel caso particolare che il funzionale abbia la
forma: :
la condizione necessaria perché u* sia
soluzione del problema variazionale (renda estremo il funzionale) è che
soddisfi l’equazione di Eulero:
mentre
per:
l’equazione
di Eulero vale:
Altre volte si ricorre, invece, ad un principio
variazionale per risolvere un’equazione differenziale: è il caso che si
incontra in Ingegneria o Fisica. In questa ipotesi il problema fisico è
descritto da una PDE e si va a cercare il funzionale (se esiste) la cui
equazione di Eulero coincide con l’equazione originale. Può accadere allora
che il funzionale trovato non abbia un significato fisico. Si dimostra anche
che imponendo la condizione di stazionarietà del funzionale automaticamente
viene soddisfatta l'equazione differenziale di Eulero insieme alle relative
condizioni naturali. Questo porta alla conclusione che la soluzione della PDE
(e delle sue condizioni naturali) del problema stazionario è equivalente alla
condizione di stazionarietà del funzionale. Quindi anziché risolvere
l'equazione differenziale, si può cercare la condizione di stazionarietà del
funzionale ad essa associato. VANTAGGI DELLA
FORMULAZIONE VARIAZIONALE
La meccanica del continuo è uno dei campi della fisica matematica
dove la tecnica variazionale è stata oggetto di approfondita ricerca. Per
questi problemi il funzionale è rappresentato dall'energia potenziale, il cui
valore deve essere stazionario e minimo affinché il sistema sia in equilibrio
stabile. I vantaggi della formulazione variazionale sono: - invarianza del funzionale per trasformazioni di
coordinate (questo per il significato fisico dei suoi parametri); - la trasformazione di un dato problema in uno
equivalente risolubile più facilmente di quello originale; - le condizioni al contorno naturali sono già comprese
nel funzionale; - se l'equazione differenziale ha ordine 2m, il
funzionale ha ordine m. Il problema che ora si pone è come passare dalla PDE al
funzionale per problemi stazionari. Questa trasformazione, quando è
possibile, può essere fatta o in modo rigoroso, oppure utilizzando il
significato fisico del funzionale. Come già detto, una volta costruito il
funzionale associato alla PDE, si procede ad applicarlo rigorosamente
imponendo la condizione di minimo del funzionale all’insieme continuo. DEDUZIONE
DI PRINCIPI VARIAZIONALI
Come detto un principio variazionale può essere
formulato direttamente oppure sulla base della conoscenza della sua equazione
di Eulero. A volte l’equazione che si vuole risolvere non è un’equazione di
Eulero e pertanto non esiste il principio variazionale ad essa associato.
Anche quando esiste, non c’è una regola generale per ricavarlo: spesso
occorre procedere per tentativi. Esistono tuttavia dei criteri che consentono
di darci delle indicazioni circa l’esistenza e la deducibilità di principi
variazionali associate alle PDE. Supponiamo che il problema sia descritto nello spazio
3D dalle seguenti equazioni:
dove A e G sono operatori differenziali lineari
sul dominio di integrazione G e sul contorno, rispettivamente, ed f sia una funzione
continua di x. Si dimostra allora che un principio variazionale
corrispondente a queste equazioni esiste solo se l’operatore A è
auto-aggiunto e definito positivo. Si ricorda che un operatore A si definisce
auto-aggiunto (o simmetrico)
se:
per ogni coppia di funzioni u(x) e v(x)
che soddisfano le condizioni al contorno omogenee del problema dato. Inoltre
un operatore auto-aggiunto A è anche definito
positivo se:
per tutte le funzioni u(x) che soddisfano le
condizioni al contorno omogenee. Nelle ipotesi precedenti si dimostra che la
funzione u(x) rende estremo il funzionale:
per cui la (11) è il funzionale associato all’equazione
(7) per operatore A auto-aggiunto e definito positivo, e funzione u(x)
soddisfacente le condizioni al contorno (8). Nel caso di problemi con
condizioni al contorno non omogenee l’espressione del funzionale assume una
formulazione più complicata in dipendenza del problema considerato. METODO
VARIAZIONALE DI RAYLEIGH-RITZ
Si è visto che nel, caso di problemi stazionari, una PDE
si può trasformare con l’ausilio del calcolo variazionale in una equazione
integrale (funzionale). Se inoltre l’equazione ha la forma della (7) con
condizioni al contorno (8), e se l’operatore A è auto-aggiunto e
definito positivo, il funzionale F(u) associato è dato dalla (11). Per
risolvere l’equazione differenziale si può utilizzare un procedimento
approssimato noto come Metodo di Rayleigh-Ritz. Il principio su cui si
basa il metodo è il seguente: se u* è la funzione che minimizza il funzionale
F(u), e se questa è definita in un
sottospazio finito Sn di dimensione n dello spazio funzionale
lineare S della soluzione, una soluzione approssimata un*
appartenente a Sn può esprimersi nella forma:
La (12) è una combinazione di funzioni note Ni(x),
dette Funzioni di Forma, e parametri incogniti ui detti coefficienti
di Ritz. Le funzioni Ni(x) sono scelte in maniera tale da
rispettare le condizioni essenziali nell’intero dominio del sistema. Esse
devono definire una base completa e linearmente indipendente, e sono
l’analogo dei vettori base in uno spazio vettoriale n-dimensionale. In questo
modo se un* minimizza F(u), F(un*) è vicino a F(u*) e un* sarà prossimo a u*.
Per calcolare i parametri ui si minimizza F(un*), derivando F rispetto a questi coefficienti, ottenendo
le n equazioni di Ritz:
Nell’ipotesi di funzionale quadratico la (13) rappresenta un sistema di n equazioni lineari la cui soluzione fornisce il vettore dei coefficienti di Ritz, e quindi la soluzione approssimata cercata. METODO
VARIAZIONALE DI GALERKIN
Il Metodo di Galerkin costituisce una
generalizzazione di quello di Rayleigh-Ritz, in quanto permette di risolvere
in modo approssimato l’equazione (7) anche se l’operatore differenziale A
è non lineare e anche non auto-aggiunto. In queste ipotesi, esprimendo ancora
la soluzione approssimata un(x) nella forma (12), si
definisce residuo la quantità:
Esso si annulla solamente per un(x)=u(x).
Nel metodo di Galerkin i parametri ui (chiamati ora coefficienti
di Galerkin) vengono determinati risolvendo gli n integrali
variazionali di Galerkin:
Nella (15) le funzioni Ni(x) devono
ancora soddisfare le condizioni (8). L’interpretazione geometrica della (15) è
la seguente: nel caso generale che la (14) rappresenti una relazione
vettoriale nello spazio 3D (le funzioni Ni(x) diventano i
vettori linearmente indipendenti della base), il residuo è il vettore
differenza tra il vettore approssimato fn(x)=Aun(x)
ed il vettore (esatto) f(x). L’intensità di rn(x)
rappresenta anche la distanza tra gli estremi dei due vettori. Questa
distanza (errore) è minima quando il vettore residuo rn(x)
è ortogonale simultaneamente ai 3 vettori Ni(x) della base
che definiscono la soluzione approssimata. In sostanza, i coefficienti di
Galerkin ui sono determinati risolvendo le n equazioni (15), con
le quali viene imposta l’ortogonalità tra il residuo e le n funzioni di forma
Ni(x) (si noti tuttavia che nel caso di uno spazio 3D un
vettore può essere contemporaneamente perpendicolare a 3 vettori linearmente
indipendenti solo per r3(x)=0). Con questo metodo le (15) non scaturiscono più dalla
minimizzazione di un funzionale, per cui non è più necessario che l’operatore
A possieda le proprietà di linearità e simmetria. Ne segue che esse
sono più generali delle equazioni di Ritz, e possono essere usate per
risolvere qualsiasi equazione differenziale (è questo il vantaggio del metodo
di Galerkin nel FEM!). Il metodo di Galerkin converge alla soluzione esatta
al crescere di n, anche se non esiste un funzionale associato per il quale un(x)
debba essere soluzione di minimo. METODO
VARIAZIONALE DEI RESIDUI PESATI
Si è visto che il metodo variazionale di Galerkin è una
generalizzazione di quello di Rayleigh-Ritz, col quale coincide quando le
equazioni differenziali da risolvere del tipo (7) hanno operatore A
auto-aggiunto e lineare. A sua volta il metodo di Galerkin è un caso
particolare del più generale Metodo Variazionale dei Residui Pesati.
Questo metodo impone l’ortogonalità tra il residuo rn(x) ed
una base di funzioni Wi(x), dette funzioni peso, diversa da
quella usata per approssimare la soluzione. L’equazione del metodo dei
residui pesati è pertanto:
Se la base Wi(x) è completa e
linearmente indipendente la soluzione tende alla soluzione esatta, mentre il residuo
converge al valore nullo. L’equazione (16) coincide con l’equazione di
Galerkin (15) quando Wi(x)=Ni(x). A seconda della scelta delle funzioni peso il metodo
dei residui pesati assume diverse denominazioni: - metodo di Galerkin - metodo dei sottodomini - metodo di collocation - metodo dei minimi quadrati - metodo dei momenti Tuttavia il metodo di Galerkin è, tra tutti i metodi
dei residui pesati, quello più comunemente impiegato con il FEM. Tutti questi
metodi hanno il grande vantaggio di prescindere dalla conoscenza del
funzionale F. Quando una PDE ammette un principio variazionale,
esso è sempre equivalente ad un metodo dei residui pesati. L’inverso non è
vero, poiché i metodi dei residui pesati sono applicati direttamente al
problema differenziale, indipendentemente dall’esistenza o meno del
funzionale associato. |
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